Migranti, dare nome (e sepoltura) ai morti in mare: le risposte di enti e singoli
PALERMO - Attraverso quale sofferto e tortuoso percorso i familiari di chi è morto in mare, durante la traversata del Mediterraneo, riescono ad avere notizie? Di questo aspetto delicato si è parlato questa mattina, nello spazio del Cre.Zi. Plus, dei Cantieri Culturali alla Zisa, all'interno del Sabir festival, nel convegno "Migranti morti in mare. Sepolture, identificazioni, sostegno alle famiglie. Prospettive locali e associative".
A cercare di dare una risposta, tra gli altri, Oliviero Forti di Caritas Italiana, Filippo Furri di Boat4People e la ricercatrice Giorgia Mirto. "Negli ultimi quindici anni sono oltre 30 mila le persone morte nell’olocausto Mediterraneo - dice Fausto Melluso dell'Arci Palermo che ha moderato l'incontro - nel tentativo di raggiungere le coste europee; circa Il 60% di loro resta senza nome, senza un’identità. E' un tema di cui purtroppo si parla pochissimo e, al di là delle cifre costantemente in aumento, la realtà delle morti di migranti nel Mediterraneo coinvolge direttamente le comunità locali costiere, confrontate da anni a pratiche di accoglienza delle salme raccolte in mare (identificazione, sepoltura, rimpatrio)".
"Come Caritas non potevamo non porci la questione di quelle persone che non sono riuscite ad arrivare vive nelle nostre coste - afferma Oliviero Forti di Caritas Italiana - . L'argomento non è scontato e anzi è piuttosto ostico ed è stato sempre affrontato molto poco. Questa omissione penso che non sia stata dettata da una volontà precisa ma forse perché siamo stati troppo proiettati verso l'assistenza e l'accoglienza dei migranti, privati dei diritti fondamentali. I morti meritano la sepoltura in chiave di cura e giusta accoglienza. Ci siamo posti il problema, già dieci fa a Lampedusa, su come intervenire, confrontandoci in molti casi con una certa incapacità di istituzioni e chiese locali. Oggi forse i tempi sono più maturi e possiamo lavorare ad un percorso insieme di responsabilità collettiva. La nostra proposta è quella di andare oltre il pietismo' dell'ultima ora pur se comprensibile, per attivarci in maniera concreta nel realizzare spazi dignitosi dove inserire queste sepolture evitando precari ritagli cimiteriali come se si trattasse di persone di serie B. In particolare, ad Armo frazione del comune in provincia di Reggio Calabria, stiamo portando avanti un progetto per la realizzazione di uno spazio in cui le sepolture avranno la stessa dignità dei nostri morti e per i loro familiari uno spazio di preghiera interconfessionale. Speriamo che questo piccolo segno possa diventare un modello da emulare in altre realtà italiane".
A parlare della sua esperienza di ricerca in merito ad alcuni progetti sulla identificazione e sepoltura dei migranti è stata invece la ricercatrice dell'Università di Bologna Giorgia Mirto. "Per diverso tempo ci siamo preoccupati di contare le persone morte in mare - dice - con liste che ci pervengono sulla base dei racconti dei sopravvissuti, che comprendono i defunti arrivati da noi ma anche coloro che sono dispersi. Per un progetto internazionale olandese, in particolare in l'Italia ho girato diversi cimiteri. E' stato un lavoro grande che ha prodotto una banca dati con tutte le sepolture, la data di reperimento del cadavere e la sua causa di morte. La difficoltà è oggi riuscire ad aggiornare questi dati. Inoltre, con il progetto Missing at the borders, invece, abbiamo studiato le pratiche di identificazione dei cadaveri e valorizzato il rapporto con le famiglie. Molti familiari sono in una sorta di lutto ambiguo, per cui non sanno se il loro caro sia vivo o morto. Vuol dire che non possono piangerlo ma oltre alla sofferenza psicologica ci sono anche risvolti pratici nel caso di eredità o di possibilità della donna di sposarsi. L'Italia, pur con tutte le sue pecche soprattutto per quanto concerne la sepoltura dei migranti in spazi dignitosi, è comunque l'unico Stato europeo ad avere un ufficio ministeriale che si occupa delle persone scomparse guidato da un prefetto del Ministero dell'Interno - e questo è positivo per le attività di coordinamento e di ricerca che si svolgono in collaborazione con la Crocerossa e con altre realtà".
Da Boat4People è stata stilata una guida informativa indirizzata alle famiglie delle persone decedute o scomparse nel Mediterraneo. Di questo lavoro ha parlato Filippo Furri di Boat4People. "La guida con la sua mappatura ha permesso di aiutare parecchie persone e realtà impegnate su questo tema. Abbiamo lavorato anche con gli uffici del cimitero di Catania dove attualmente c'è il numero maggiore di salme di immigrati - ha detto -. Dal 2015 ad oggi sappiamo che ce ne sono ben 270 anche se purtroppo non tutti hanno un nome e alcuni hanno delle procedure di identificazione in corso. Rispetto al passato possiamo dire che qualche passo avanti è stato fatto anche se il tema va monitorato continuamente". (set)