Parto anonimo, la riforma arriva in aula. Lettera aperta per "difendere le mamme segrete"
ROMA – Due voci, due sentimenti, due interessi a confronto: quelle delle “mamme segrete” che hanno dichiarato di voler rimanere anonime al momento del parto (possibilità prevista dalla legge italiana e non solo) e quello dei figli non riconosciuti, oggi adulti, che chiedono di conoscere chi li ha messi al mondo. Sono circa 400 ogni anno e per loro si apre da subito la via dell’adozione. Per 100 anni, secondo l’attuale legge italiana, nessuno potrà conoscere l’ identità della madre.
Un situazione delicata, difficile da dirimere “per legge”; tuttavia a questo sono chiamate le istituzione italiane: dovranno trovare il modo di bilanciare due interessi, tenendo conto che essisi affermano in situazioni umane e sociali molto diversi le une dalle altre. Lunedì 15 giugno, infatti, andrà in Aula alla Camera il testo approvato dalla Commissione Giustizia in merito all'accesso all'identità delle donne che non hanno riconosciuto il loro nato. Si tratta di un testo che raccoglie diverse proposte di legge che mirano a modificare la normativa dopo il pronunciamento della Corte costituzionale, che, con la sentenza 278 del novembre 2013, ha dichiarato illegittimo l’articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n.184. Il comma in questione non prevede la possibilità di interpellare, su richiesta del figlio, le donne che al momento del parto hanno dichiarato di restare anonime, per verificare la disponibilità a "una eventuale revoca di tale dichiarazione". La questione di illegittimità era stata sollevata dal Tribunale per i minorenni di Catanzaro sulla base di un pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, che aveva accolto il ricorso di una donna italiana, venuta a conoscenza della propria adozione solo al momento del divorzio.
Ma che cosa prevedeil nuovo testo unico? Il testo stabilisce che un figlio che abbia compiuto 25 anni possa avviare richiesta, attraverso il Tribunale dei minorenni, e far interpellare la madre - con modalità che rispettino la riservatezza - per chiederle se intenda rimuovere l’anonimato. Non potrà invece vantare alcun diritto patrimoniale e di successione né avanzare richieste economiche. In caso di rifiuto della madre a rivelare l’identità, il figlio ha comunque diritto (previsto già della legge attuale) di conoscere tutte le informazioni che riguardino la sua salute. La tutela della riservatezza non viene applicata se la madre è deceduta.
Le ragioni del "no". Quanto sia difficile rispettare in concreto le modalità di riservatezza nei confronti della donna che si vuole rintracciare, è uno dei nodi centrali su cui si batte il fronte del "no" alla riforma. Tra i più accesi difensori del parto segreto l’Anfaa, l’associazione delle famiglie adottive e affidatarie, tra i promotori della petizione per la “Difesa del segreto del parto, della salute delle donne e del futuro dei bambini non riconosciuti”. In vista della discussione che si apre sul tema in aula, i promotori hanno inviato a tutti i deputati una lettera aperta, in cui esprimono il proprio profondo dissenso e propongono alcune modifiche al testo. “Nella formulazione del testo unificato della Commissione Giustizia si prevede che il Tribunale per i minorenni, su richiesta delle persone non riconosciute alla nascita, si attivi per rintracciare le donne che hanno partorito in anonimato. - si legge nel tesato - Questo testo, se approvato, avendo effetto retroattivo, determinerebbe conseguenze gravi ed irreversibili alle oltre 90 mila donne che dal 1950 ad oggi hanno partorito avvalendosi del diritto alla segretezza”.
Per i promotori “la possibilità di far venir meno questo diritto e quindi di essere rintracciabili può essere concessa solo alle donne che volontariamente si avvalgono della facoltà di recedere dalla decisione a suo tempo assunta”. Questo è quanto chiede la petizione che sostengono. “Non è ammissibile a nostro parere il percorso inverso, - sottolineano - cioè che siano i nati da queste donne ad avviare il procedimento presso il Tribunale per i minorenni affinché le rintracci, se loro non hanno preventivamente manifestato la loro disponibilità al riguardo”.
“Particolarmente preoccupanti” per i promotori della petizione anche le conseguenze che la nuova norma avrebbe sulle gestanti che in futuro volessero non riconoscere il proprio nascituro. “Non dovremo stupirci – si legge nella lettera - se le gestanti non andranno più a partorire in ospedale, non avendo garanzie sulla segretezza del parto e se aumenteranno gli infanticidi e gli abbandoni dei neonati in luoghi e con modalità che metteranno in pericolo la loro vita”. Fino ai casi più gravi sono “il non riconoscimento del neonato e la garanzia della segretezza dell’identità della donna è uno strumento a difesa della stessa vita di donne che provengono da contesti in cui per tradizioni o pratiche di origine religiosa, l’avere rapporti sessuali o partorire al di fuori del matrimonio viene “punito” con l’uccisione (i cosiddetti “delitti d’onore”)”. Infine le associazioni che difendono il parto segreto ritengono “disumana” la disposizione del testo base, secondo cui la richiesta di accesso all’identità della partoriente è incondizionata nel caso in cui la donna sia deceduta. “Una violazione palese non solo del suo diritto all’anonimato, ma anche del diritto suo e dei suoi congiunti alla riservatezza che non è più in grado di tutelare!” (cch)